L’inchiostro schizzava le carte

Caterina
Il sorriso di Caterina

Questo potrebbe essere l’incipit della superlativa ricostruzione della vita leggendaria di Caterina, madre di Leonardo da Vinci, figura sinora avvolta nel mistero, di cui si erano perse le tracce nell’ultima colonia veneziana alla foce del Don e protagonista di un destino fuori dall’ordinario, intrecciato a quello di schiavi, pirati, soldati, mercanti e prostitute.

Nel romanzo “Il sorriso di Caterina” l’autore Carlo Vecce, studioso della civiltà del Rinascimento, ci presenta uno spaccato dal phatos sorprendente sulla vita della donna che ha cambiato il volto della storia del mondo; tra protagonisti della suggestiva biografia, incontriamo anche la magia della scrittura come strumento di affermazione e di potere; le storie si intrecciano e l’incantesimo scorre a fiumi proprio come l’inchiostro con cui è stato vergato il documento ritrovato nell’Archivio di Stato fiorentino datato 2 Novembre 1452, sei mesi dopo la nascita di Leonardo: la data è più volte stata cancellata e riscritta, forse perché al notaio Ser Piero da Vinci tremavano le mani mentre trascriveva l’atto con cui sanciva l’affrancamento dalla schiavitù della donna che aveva dato alla luce suo figlio.

Il salvacondotto è coperto di strani segni che vanno su e giù, svolazzi e paraffe, ogni tanto un punto che sembra buttato lì a caso. E’ scrittura araba, si legge alla rovescia, da destra a sinistra. Anche se non ci capisco niente mi piace, è bella, fluente e decido che in futuro mi divertirò a imitare qualcuno di quegli svolazzi anche nella grafia da mercante. Se quella è una scrittura, allora è perfetta per quella lingua che a sentirla è dondolante e altalenante allo stesso modo, come andare a cavallo di cammello su e giù per le dune, nel vento e nella sabbia, che dopo solo poche ore è venuto un terribile mal di schiena …”

La scrittura non crea la vita, ma la insegue e fissa per sempre un momento nel fluire inarrestabile del tempo, affinché un giorno sia possibile consegnare memoria: a te stesso o a chi verrà dopo di te, dopo la morte. E così, con la mia bella scrittura da mercante, con gli svolazzi che avevo preso l’abitudine di fare in Africa vent’anni prima e nella forma più solenne di cui poteva essere capace un notaio mancato, cominciai a scrivere, andando più volte a capo ogni volta che mi sembrava di aver scritto un nome o una cosa importante …”

Com’é possibile far vivere le parole dopo la morte di chi le ha pronunciate? Con la scrittura, rispondeva mio padre: così, intingendo la penna in questa boccetta chiamata calamaio, tirandone fuori questa goccia di sangue nero che si chiama inchiostro, che bisogna spargere con cura i solchi di questa superficie sottile e rugosa che si chiama carta e che è come un bianco campo da arare e seminare …”

Io all’inizio imitavo la sua scrittura ma poi cercai di crearmi una mia scrittura, più chiara e scorrevole, intermedia fra la mercantesca e la cancelleresca …”

Riferimenti bibliografici: “Il sorriso di Caterina” Carlo Vecce

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